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CULTURA 29-05-2001

IL SESSO DESCRITTO DALLE DONNE

di MARIO VARGAS LLOSA

STANDO alla leggenda, nella sua notte di nozze il giovane Victor Hugo aveva fatto l'amore otto volte con la sua sposa, la casta Adèle Foucher; la quale, in conseguenza della superprestazione del focoso autore de I Miserabili, rimase vaccinata una volta per tutte contro questo genere di attività (la sua tortuosa avventura adulterina con il brutto Sainte-Beuve non aveva nulla a che fare con il piacere, ma piuttosto con la vendetta e il dispetto).
Per il saggio Jean Rostand, il record di Hugo era risibile a confronto con le prodezze fornicatorie di altre specie. Cos'erano mai quelle otto effusioni consecutive del vate romantico, comparate ad esempio con i quaranta giorni e le quaranta notti di accoppiamenti consecutivi, senza un solo istante di respiro, tra i rospi dei due sessi? Ora però, grazie a un'agguerrita francese, la signora Catherine Millet, gli anfibi anuri, i conigli e gli altri grandi fornicatori del regno animale hanno trovato nella mediocre specie umana emuli capaci di misurarsi con loro da pari a pari, e persino di batterli sul piano quantitativo.

Chi è la signora Catherine Millet? Una distinta critica d'arte, 53 anni, che dirige la redazione parigina di ArtPress, autrice di monografie sull'arte concettuale, su pittori e disegnatori quali Ives Klein e Roger Tallon, sull'arte contemporanea e sulla critica d'avanguardia. Nel 1989 è stata commissario della sezione francese della Biennale di Sao Paulo, e nel 1995, commissario del Padiglione francese alla Biennale di Venezia. Ma la sua celebrità, di più fresca data, è dovuta a un saggio autobiografico di argomento sessuale, recentemente pubblicato da Le Seuil: La vie sexuelle de Catherine M.: un libro che ha suscitato notevole scalpore, e da alcune settimane è in testa alla classifica dei titoli più venduti in Francia. Dirò subito che il saggio della signora Millet vale un po' più dei ridicoli sproloqui con cui viene pubblicizzato; e chi si precipita a leggerlo per l'aura erotica o pornografica che lo circonda rimarrà sicuramente deluso. Non è uno stimolante sessuale, e neppure una raccolta elaborata di immagini e rituali legati all'esperienza erotica, ma una riflessione intelligente, cruda, insolitamente franca, che assomiglia a volte a una relazione clinica. L'autrice esplora la propria vita sessuale con la puntigliosità ossessiva e glaciale di quei miniaturisti che costruiscono navi dentro le bottiglie, o dipingono paesaggi sulla capocchia di uno spillo. Oltre tutto, questo libro, pure interessante e coraggioso, non è propriamente di gradevole lettura, dato che comunica al lettore una visione del sesso defatigante e deprimente quasi quanto quella impressa a madame Victor Hugo dalle otto incursioni maritali della sua notte di nozze. Catherine Millet ha iniziato la propria vita sessuale a 17 anni - piuttosto tardi per una ragazza della sua generazione - quella della grande rivoluzione dei costumi del maggio '68. In compenso, si è affrettata a ricuperare il tempo perduto facendo l'amore a destra e a manca con tutte le parti possibili del suo corpo, a un ritmo veramente pazzesco, battendo largamente, secondo i miei calcoli, persino l'incontinente ed eclettico Georges Simenon, che nella sua autobiografia si vanta di essersi portato a letto un migliaio di donne. Se insisto sul dato quantitativo è perché è la stessa autrice a farlo, nella prima parte del suo libro, molto estesa, intitolata precisamente "Il numero", in cui attesta la sua predilezione per le ammucchiate, le partouzes e il sesso promiscuo. Negli anni settanta e ottanta, quando ancora la libertà sessuale non aveva perduto il suo impeto e non era passata di moda in Europa (anche in seguito alla comparsa dell'Aids), la signora Millet - che si descrive come una donna timida, disciplinata e tendenzialmente docile - trovò nei rapporti sessuali una forma di comunicazione con i suoi simili che difficilmente sarebbe riuscita a realizzare in altri ambiti della vita. Faceva l'amore nei club privati, al Bois de Boulogne, sui bordi delle autostrade, negli androni dei palazzi, in luoghi pubblici come le banche, in case private e a volte anche sul retro di un furgone, dove smaltiva nel giro di qualche ora, con l'aiuto dell'amico Eric che gestiva le code, decine di sollecitanti. Se dico sollecitanti è perché non so come altrimenti definire questi fuggevoli e anonimi compagni d'avventura dell'autrice. Non certo clienti, dato che Catherine Millet, prodigava i suoi favori con generosità illimitata e non chiedeva mai nulla in cambio. Il sesso, lo ha sempre praticato da vera dilettante, per sport, per routine o per gusto, mai da professionista o con fini commerciali. E nonostante questa pratica sfrenata, assicura di non essere mai stata brutalizzata, e di non essersi mai sentita in pericolo. Anche nelle situazioni al limite della violenza, era sempre bastata una sua semplice reazione di diniego per ottenere il rispetto della sua decisione. Ha avuto alcuni amanti, e ora è sposata con uno scrittore e fotografo che ha pubblicato recentemente un album di nudi della consorte. Ma il rapporto con un amante presuppone un minimo di stabilità; mentre i partner di Catherine Millet compaiono per lo più come figure di passaggio, prese e lasciate sbrigativamente, in un'assenza quasi totale di dialogo. Nel suo racconto sfilano innumerevoli individui senza volto e senza storia. Come le vulve furtive citate nei testi libertini, questi uomini non sono altro che verghe transeunti. Finora, nel genere letterario delle confessioni, solo i libertini maschi facevano l'amore in questo modo, all'ingrosso, in cieche sequenze, senza preoccuparsi minimamente di sapere con chi. Questo libro dimostra - ed è forse questo il suo aspetto veramente scandaloso - l'errore di chi riteneva che il sesso a catena, completamente dissociato da qualsiasi sentimento o emozione, fosse riservato ai soli uomini. E' bene precisare che in queste pagine, Catherine Millet non ostenta atteggiamenti femministi, né esibisce la sua ricchissima esperienza sessuale come una bandiera rivendicativa, o una denuncia dei pregiudizi e delle discriminazioni tuttora in atto contro le donne in campo sessuale. La sua testimonianza è scevra da arringhe, e non denota la benché minima pretesa di illustrare verità di carattere generale, siano esse etiche, politiche o sociali. Al contrario, il suo estremo individualismo si palesa nel desiderio di non voler trarre dalla sua esperienza particolare conclusioni valide per tutti - indubbiamente perché crede che non ve ne possano essere. Per quale motivo allora ha voluto rendere pubblica, mediante un'auto-autopsia sessuale senza precedenti, quell'intimità che la stragrande maggioranza delle persone, di genere femminile o maschile, tiene sotto chiave a quattro mandate? Forse per vedere se in questo modo si riesce a comprendere meglio, a porsi in una prospettiva atta a trasformare in conoscenza, in idee chiare e coerenti quel pozzo oscuro di iniziative, slanci, audacia, eccessi, ma anche di confusione, che il sesso tuttora rappresenta per lei, nonostante la libertà con cui lo affronta. Ciò che più sconcerta in questo testo è il tono algido della scrittura; una prosa efficace, impegnata ad essere lucida e talora astratta. Ma la freddezza non impregna solo l'espressione e il ragionamento; è la materia stessa, il sesso, ad emanare un alito glaciale e raggelante - e in molte pagine anche deprimente. La signora Millet ci assicura che molti dei suoi partner l'hanno soddisfatta e aiutata a materializzare i suoi fantasmi. Ma le hanno dato davvero pienezza, godimento? La verità è che i suoi orgasmi sembrano spesso meccanici, rassegnati e persino tristi. E' lei stessa a lasciarlo intendere in maniera abbastanza univoca, nelle pagine finali del suo libro, quando annota che nonostante la varietà delle persone con le quali ha fatto l'amore, non si è mai sentita sessualmente tanto realizzata come nel praticare ("con la puntualità di un funzionario") la masturbazione. C'è dunque da dubitare di quella diffusa idea maschilista (ma l'aggettivo è ormai discutibile) che in materia di sesso, il piacere si possa trovare solo nella varietà. Lasciamolo dire alla signora Millet: nessuna delle sue innumerevoli accoppiate di carne e ossa è stata in grado di detronizzare il suo invertebrato fantasma. Questo libro conferma ciò che tutta la letteratura confinata all'argomento sessuale ha ormai dimostrato a iosa: che il sesso, separato dalle altre attività di cui si compone l'esistenza, è estremamente monotono, e il suo orizzonte è talmente limitato da risultare, in definitiva, disumanizzante. Una vita calamitata dal sesso, dal sesso soltanto, abbassa questa funzione al rango di attività organica primaria, non più nobile né più gradevole dell'ingerire fine a se stesso, o del defecare. Solo quando è civilizzato dalla cultura, che lo carica di emozione e di passione e lo riveste di cerimonie e rituali, il sesso arricchisce straordinariamente la vita umana, e i suoi benefici effetti si proiettano in tutti i meandri dell'esistenza. Ma perché questa sublimazione si realizzi è imprescindibile - come spiega Georges Bataille - preservare determinate regole volte a incanalare e frenare la sessualità, in modo che l'amore fisico possa essere vissuto - e goduto - come trasgressione. La libertà senza restrizioni e la rinuncia a ogni elemento scenico, a ogni formalismo, che è stata presentata come una conquista in talune enclavi del mondo occidentale, non ha contribuito ad arricchire il piacere e la felicità degli esseri umani, ma al contrario ha banalizzato l'amore fisico, lo ha offuscato. Ha trasformato in routine, in pura e semplice ginnastica, una delle fonti più feconde del misterioso fenomeno umano. Peraltro, è il caso di ricordare che questa libertà sessuale, dispiegata con tanta eloquenza nel saggio di Catherine Millet, rappresenta tuttora il privilegio di alcune piccole minoranze. Proprio mentre leggevo il suo libro, la stampa parigina pubblicava il caso di una donna condannata alla lapidazione da un Tribunale di fanatici imam, in una provincia dell'Iran, per essersi fatta riprendere in un film pornografico. Va chiarito che in una teocrazia fondamentalista islamica si parla di "pornografia" quando una donna mostra i suoi capelli. Come vuole la legge coranica, la colpevole è stata sepolta fino all'altezza del petto in una pubblica piazza e lapidata a morte. (Traduzione di Elisabetta Horvat) © Mario Vargas Llosa, 2001. © Diritti mondiali di stampa riservati al quotidiano "El País", SL, 2001

La Repubblica 29/5/2001