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SOCIETÀ 29-05-2001

MESSAGGIO NEL VOTO

RICCARDO BARENGHI



L'importanza del risultato elettorale di domenica scorsa non sta certo nell'idea della rivincita contro Berlusconi (il quale sta per andare al governo con l'intenzione di restarci cinque anni), e tantomeno nel rovesciamento del segno politico del voto del 13 maggio (che purtroppo resta tutto intero). Insomma non è un'inversione di tendenza, un oscuramento della vittoria politica della destra (o della sconfitta della sinistra), un pareggio raggiunto in extremis. Eppure è un risultato decisivo per il futuro del nostro paese e, in particolare, delle sinistre italiane.
Se avesse vinto il Polo anche nelle tre città, oggi ci troveremmo di fronte a un annichilimento generale, una depressione collettiva, una rinuncia anche solo a pensare di far qualcosa nel futuro per combattere Berlusconi e i suoi amici. Sarebbe insomma morta anche la speranza, che pur essendo l'ultima a morire ogni tanto non riesce a sopravvivere.
La vittoria dei sindaci la tiene viva, la speranza, nel senso che ci fa vedere che non tutto è perduto, non tutta l'Italia si è lasciata cadere nelle braccia della destra, non tutti quelli che ancora pensano a sinistra si sono rinchiusi nelle case. Anzi, sono tornati a votare convinti non solo di poter vincere ma forse (interpretare le intenzioni di voto non è solo azzardato, è anche presuntuoso) di inviare un messaggio ai propri rappresentanti politici. Della serie: facciamo qualcosa?
Sarebbe il caso che questi leader cogliessero il messaggio, cominciando a rimettere in discussione se non tutto molto di quel che hanno fatto negli ultimi anni. Parliamo dei Ds e parliamo di Rifondazione, parliamo dei Verdi e di tutte le altre forze della sinistra presenti o assenti in parlamento.
A meno che non ci sia chi pensa che sì, Berlusconi ha vinto ma io non ho perso, la destra andrà al governo ma io sono sopravvissuto, siamo mal ridotti ma io posso riprendere in mano il partito. In altre parole, a meno che invece di rispondere alla domanda che esce dalle urne, non prevalga il punto di vista personale, il proprio orticello, il minuscolo particulare.
Nesuno qui pensa - ci mancherebbe altro - che di punto in bianco le varie componenti della sinistra debbano far finta di niente, dimenticarsi il passato e unirsi in matrimonio o almeno fidanzarsi come se nulla fosse. Anzi. Nulla deve essere dimenticato ma proprio nulla di nulla, dalle guerre esaltate come la nuova ideologia della sinistra moderna alle rotture sociali agitate come nuove frontiere, fino alle rotture politiche utilizzate come fondazioni o rifondazioni.
Ognuno però, ricordandosi tutto, dovrebbe guardarsi allo specchio anzi guardarsi intorno (meglio che i nostri leader lascino perdere gli specchi, troppo ne hanno abusato) e magari chiedere qualche suggerimento in giro invece di dispensare ricette o ordini, lasciare che una discussione vera si apra, magari stare fuori un giro come si dice, in modo che qualcun altro si faccia avanti.
Fuor di metafora. Perché i Ds se non pensano a Veltroni pensano a D'Alema oppure a uno dei loro discepoli oppure a uno che potrebbe garantirli entrambi ma che domani si farebbe da parte per lasciare il campo libero? Date una lezione di stile a tutti gli altri, cari Ds: liberatevi dall'ossessione della leadership (per un po', s'intende), aprite una discussione, rinunciate a eleggere un segretario in fretta e furia, datevi una direzione collegiale che per un anno si prende cura della gestione del partito e garantisce il confronto fino alle assise nazionali e all'elezione del nuovo gruppo dirigente (segretario compreso). Sarebbe un modo per dire che la sconfitta è stata presa sul serio e alla sua altezza, e non ridotta a un incidente di percorso. Una strada dalla quale potrebbe uscire sul serio la fisionomia di un nuovo partito (socialdemocratico ma quale socialdemocrazia?). Sarebbe comunque un gesto diverso dal solito, in discontinuità (scusate la parola) con la personalizzazione della politica, e che forse colpirebbe positivamente quel che resta della famosa base.
E perché Rifondazione, ora che è riuscita a vincere la battaglia della sopravvivenza, non lancia un segnale che vada un po' oltre se stessa, Genova e i metalmeccanici? Tutte cose giuste, anzi sacrosante, ma che non sembrano in grado da sole di dar vita a un progetto politico capace di fronteggiare la doppia ma unica sfida: il governo Berlusconi e la ricostituzione di un'idea alternativa, che poi sarebbe il sale della sinistra.
Sempre che sia questa la sfida che le sinistre italiane hanno di fronte a loro. Altrimenti, se siamo usciti fuori tema, scusate tanto e come non detto.
Il Manifesto 29/5/2001