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CULTURA 24-04-2001

AL VOTO CON TOMMASO MORO

Dal santo patrono dei politici un aiuto a scegliere
Al voto con Tommaso Moro


Leonardo Zega.

CI fu chi fece dell’ironia quando lo scorso 31 ottobre Giovanni Paolo II proclamò San Tommaso Moro patrono dei politici. Che c’entra, si disse, la santità con la politica, se persino la sua ancella povera, l’etica, è pregata di starne alla larga? Nei fatti, se non nelle parole. Eppure il grande statista inglese, Cancelliere di Enrico VIII, processato e decapitato nella Torre di Londra, avrebbe tanto da dire ai nostri malmostosi contendenti durante questa vigilia elettorale. La migliore descrizione della su a personalità la dobbiamo a Erasmo da Rotterdam, che nell’introduzione al suo Elogio della follia (il libro che l’on. Berlusconi ha confessato essere una delle sue letture preferite) lo definisce «un uomo per tutte le stagioni». La frase, divenuta famosa grazie all’omonimo film, non è - come qualcuno l’ha intesa, tradendo il pensiero di Erasmo - un elogio del compromesso e del trasformismo, ma un omaggio alla genialità, all’equilibrio e alla versatilità dello statista, che cercò fino alla fine di tenere unite le virtù dell’uomo d’onore: fedeltà al proprio Paese e al suo re, consapevolezza della comple ssità della storia e di quel guazzabuglio che è il cuore umano, da un lato; e, dall’altro, fedeltà alla coscienza del cristiano, che in caso di conflitto deve privilegiare l'obbedienza a Dio e alle sue leggi, piuttosto che cedere ai capricci dei potenti di questa terra. Leale fino in fondo, dal patibolo Moro rivolge alla folla, che assiste alla sua esecuzione, l’invito a «pregare per il re, perché possa governare con saggezza», e dichiara «di morire da buon servitore del re, ma prima ancora di Dio». Perché allora tanta ricchezza di insegnamenti dovrebbe restare nascosta, proprio oggi che si sente, come non mai, l’esigenza di strappare la politica dalla palude di meschinità e rivalse, interessi personali e smanie di potere in cui sta affondando? Traggo questa attualissima lezione proprio da un testo di Tommaso Moro, appena pubblicato dalle Edizioni Paoline, con una ricca introduzione di Domenico Pezzini. Il libro, intitolato Gesù al Getsemani , è una meditazione sull’agonia di Cristo fino alla sua cattura. Date le circostanze, le accentazioni autobiografiche sono fortissime. Moro inizia a scriverlo nel 1534, mentre èrinchiuso nella Torre, ed è brutalmente costretto a interromperlo nel giugno dell’anno successivo, tre settimane prima della decapitazione. Un breve post scriptum all’edizione del 1565 dice tutta la drammaticità dello strappo: «Thomas More non procedette oltre in quest’opera, poiché, giunto a questo punto, gli fu negato ogni strume nto per scrivere e la sua prigionia si fece molto più dura di prima. Così, non molto tempo dopo, vicino alla Torre di Londra, nel solito luogo, ricevette il colpo della scure. Era il 6 luglio dell’anno del Signore 1535, il ventisettesimo anno di regno di Enrico VIII». Nonostante la natura di intima conversazione con Dio, lo scritto non rispecchia soltanto la profonda religiosità dell’uomo, che rivive in qualche modo la passione di Cristo, ma anche la sua alta concezione della politica, intesa come servizio onesto e fedele, in nome di ideali e valori non barattabili con vantaggi personali, familiari o di gruppo. Credo che sarebbe assai meno imbarazzante scegliere per chi votare il 13 maggio, se si ponesse mente alle parole e all’esempio di San Tommaso Moro, se si potesse constatare che chi aspira a governarci, oltre che proclamare a suon di slogan e di miliardi le proprie altissime benemerenze, dedica anche qualche attenzione al modello proposto da questo politico santo. Senza ironia, lui, che la coerenza fra le parole e i fatti l’ha siglata con il sangue, può dare davvero una mano a tutti, elettori e concorrenti.

La Stampa 24/4/2001