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POLITICA 08-06-2001

ORA SI RIDE

alfredo reichlin

Caro direttore, non basta deplorare il modo come si è avviata nei Ds la discussione sulla sconfitta elettorale. Cercherei di capire le ragioni di uno scontro così aspro. E ciò allo scopo di fare emergere il nodo reale, irrisolto, che evidentemente c'è dietro. Io mi rifiuto di ridurre tutto a uno scontro di potere. Conosco le persone e so che esse meritano stima e rispetto. E' stupido prima ancora che ignobile dimenticarlo. Penso invece che una parte del gruppo dirigente dei Ds dubita fortemente non sul fatto che una sinistra debba pure esistere, ma sulle sue ragioni di fondo, sulla sua funzione cruciale nell'Italia e nel mondo di oggi.
Parto da qui perché altrimenti non si capirebbe come mai il nostro dibattito resta bloccato da anni intorno al dilemma: rassegnarsi a diventare una corrente di qualcosa che non sarebbe più una coalizione ma una sorta di vago super partito, oppure ridursi a partito minoritario, degli esclusi, un partito veteroclassista che rinuncia a elaborare un disegno complessivo per la società moderna e pensarsi come potenziale classe dirigente.
Io non dico che questa posizione sia spregevole né penso che si esce da questa situazione tagliando le teste. Dico però che è vitale ed è urgente un congresso vero che sciolga questo nodo fino in fondo. Ma come? E' su questo che vorrei dire qualcosa.
La tesi che voglio sostenere è questa. Smetterla di discutere in astratto della identità della sinistra, fare il Congresso non su di noi ma su quale Italia esce da questo straordinario decennio e su come noi siamo stati dentro la sua trasformazione e l'abbiamo (bene? male?) guidata. Perché se è vero che, dopotutto, la sinistra non è un fatto "trascendentale" ma un fatto storico e che le ragioni per cui essa ha dominato l'epoca dell'industrialismo sono in parte venute meno io non mi scandalizzo per certi cedimenti. Il compito di una nuova leadership è quello di tornare a dimostrare la necessità e la funzione storicopolitica della sinistra nel nuovo scenario che si è aperto nel mondo.
Quale idea abbiamo del nostro paese in questo nuovo scenario? Parlo dell'Italia reale che non sta solo nei numeri che hanno dato la vittoria alla destra, i quali, per fortuna, non sono una valanga. Penso al nuovo profilo del paese, al fatto che mentre noi ci dividiamo in tante correnti e lasciamo il partito per molti mesi senza segretario, la scena politica è occupata da un grande partito di destra, organizzato e di massa (30 per cento dei voti) con un leader carismatico. Una bella lezione per i nostri piccoli narcisi. Parlo delle alleanze sociali che la destra ha fatto nonché del ritorno prepotente sulla scena di una cultura di destra che va dalla volgarità dei suoi nuovi giornali e delle sue televisioni all'impegno accanito di una schiera crescente di intellettuali (spesso ex gruppettari) volto a spezzare la linea di continuità sulla quale si è costruita la coscienza civile dell'Italia repubblicana.
Noi dobbiamo discutere di queste cose. Perché solo misurandosi con esse risulta evidente la falsità della contrapposizione tra le ragioni della sinistra e quelle dell'Ulivo. Se l'Ulivo – come io penso non è solo una coalizione elettorale ma è il luogo dove il meglio delle culture riformiste italiane (finora tutte minoritarie) si devono incontrare e contaminare; se esso è il campo che si deve offrire a quegli elettori che non si identificano con i singoli partiti ma chiedono alla coalizione il senso di una alleanza vera, coesa, seria, noi abbiamo un chiaro dovere. Che non è quello di renderci invisibili ma di ridefinire il profilo del riformismo italiano ed europeo a fronte di questo passaggio d'epoca. E farlo non solo per riorganizzare la sinistra ma per dare base e sostanza a una alleanza più larga, in grado di aprire una crisi nel blocco di destra e di conquistare la maggioranza del paese reale.
Il tema politico che sta al centro dell'agenda del paese è questo. Non sono le nostre beghe. Il tema del Congresso è come costruire questa grande alleanza tra i riformisti. Ma la mia tesi è che per costruirla è necessario superare quegli errori e quelle visioni riduttive del problema italiano che hanno logorato la coalizione, indebolito noi e fornito uno spazio alla destra. Sbagli ne abbiamo fatti tutti. Ma pensare di affrontare problemi di questa difficoltà e di questo spessore anche ideale cancellando una sinistra che ha cento anni di storia era veramente una sciocchezza.
Al fondo, la questione delle questioni è questa. Va benissimo l'Ulivo, va benissimo la leadership di Rutelli. Ma detto questo con assoluta chiarezza si crede oppure no che la presenza di un grande partito riformista, di governo, parte integrante della sinistra europea non solo è –come si dice - un "valore aggiunto", ma un bisogno della società moderna italiana? Io rispondo di si perché vedo in una forte sinistra la garanzia più seria che il nostro paese non venga ricacciato ai margini delle grandi democrazie europee, vittima di un'altra "anomalia italiana" cioè di un regime politico trasformista esposto a tentazioni populiste di diverso colore. Basti pensare a che cosa sarebbe l'Italia, il suo tessuto sociale, la sua tenuta eticopolitica, il suo profilo morale e culturale se la sinistra si dissolvesse o si riducesse ad appendice subalterna di altri.
E' assai dubbio che reggerebbe un sistema politico basato sulla democrazia dell'alternanza qualora all'interno di uno dei due poli non ci fosse, forte e orgogliosa, una sinistra portatrice di un pensiero autonomo sul futuro e capace di rinnovare le speranze di libertà e il bisogno di lottare contro le ingiustizie di tanta gente.
E' evidente che la cosidetta Repubblica dei partiti è finita. Le segreterie non possono più pensare di manovrare i governi e i loro leader nel momento in cui governare significa sempre più dettare regole, arbitrare una crescente complessità e varietà di poteri, non solo nazionale. Ma ciò che i fautori della liquidazione dei partiti (quelli che si nascondono dietro l'Ulivo ma il cui vero pensiero è l'antipartitismo) non comprendono è che le società moderne non si governano senza mettere in campo forti soggetti politici i quali siano in grado di mettere all'ordine del giorno una agenda politica più vasta e di più lunga durata. Qui sta il ruolo nuovo del partiti. Come scrive Battaglia in un suo bel libro: sempre meno strumenti di gestione ma sempre più fattore guida della comunità. Io credo che una simile svolta devono fare i Ds. Creare un partito di governo ma che sia anche strumento di governo e di riforma della società. Il nostro errore è stato quello di non camminare su questo terreno e non quello di aver osato di governare al posto di Prodi.
Non capire questo significa venir meno al dovere che abbiamo verso la società moderna perché la democrazia non regge se la società moderna non è posta in grado di difendere i suoi diritti, a cominciare da quelli del lavoro ma ivi compreso il suo fondamentale diritto a non vedersi ridotta a società di mercato, cioè a un insieme non di cittadini ma di consumatori. Come non si capisce che nuovi soggetti politici che siano portatori di visione progettuale e di istanze etiche diventano sempre più essenziali nel mondo globale? E ciò per la semplice ragione che i nuovi problemi del mondo e del vivere (il governo dei mercati globali, le nuove frontiere della scienza, la sovranità politica e gli strumenti della democrazia a livello sovranazionale, la difesa dell'ambiente) impongono di ripensare le linee di evoluzione della società umana a fronte di fatti che rimettono in gioco il suo stesso destino.
Altro quindi che fine dei partiti e dissoluzione della sinistra in un confuso schieramento elettorale. Sono solo accenni. Ma credo che solo una sinistra così rinnovata serva davvero all'Ulivo.

La Repubblica 8/6/2001