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POLITICA 19-06-2001

"UNO SPINTONE SUL FEDERALISMO"

Bossi all'attacco. Il premier: sì al referendum
Nel discorso di Berlusconi al Senato nemmeno una parola sul giuramento padano del Senatur: "Non sono preoccupato"

BARBARA JERKOV

ROMA - Il giorno dopo l'exploit di Umberto Bossi sul giuramento "padano", la parola d'ordine nella maggioranza è minimizzare. Nonostante gli appelli del centrosinistra affinché il presidente del Consiglio richiami all'ordine i suoi ministri, nella dichiarazione programmatica del nuovo governo Silvio Berlusconi che arrivando all'ora di pranzo in via del Plebiscito aveva respinto sorridente l'assalto dei cronisti: «Vi sembro forse preoccupato?» glissa. «Neanche una parola su quell'indegno giuramento», nota Pierluigi Castagnetti. «Un discorso deludente, francamente imbarazzante», rincara Gavino Angius. Ma il basso profilo del premier sulla vicenda lumbard è assolutamente voluto. Il referendum sul federalismo si farà, promette invece in Senato il presidente del Consiglio. Salvo precisare: «Abbiamo criticato la riforma solitaria della vecchia maggioranza di centrosinistra perché pensavamo e pensiamo che si debba fare di più e di meglio. Faremo di tutto perché gli adempimenti costituzionali che da quella legge discendono, e tra questi la consultazione popolare, non fermino il processo di riforma. Dobbiamo fare di più e di meglio: questa è la nostra stella polare». Come a dire: il loro referendum non fermerà il federalismo, quello vero.
Mentre il premier legge il suo programma nella solennità generale, Bossi siede all'estrema destra dei banchi del governo, l'aria distratta, le gambe allungate e le braccia conserte, chiacchierando ininterrottamente con i suoi vicini di sedia. «Non esiste alcun problema con gli alleati», assicura però il Senatur ai giornalisti. Il referendum sul federalismo? «Vorrà dire che ne faremo uno anche noi, poi vedremo quale sarà quello sul federalismo vero», taglia corto. Bobo Maroni, assente domenica a Pontida (ufficialmente per una «congestione»), va ad occupare un seggio all'estremità opposta dell'aula. E a differenza di Bossi e dell'altro ministro lumbard, il guardasigilli Roberto Castelli, non indossa nessun simbolo "verde padano". Né la cravatta, né la pochette, niente di niente. Solo un sobrio grigio ministeriale. Anche Bobo, però, interpellato sul giuramento del giorno prima, minimizza. «Sono le stesse cose che sento da quindici anni», risponde ai cronisti. «Si tratta di argomenti triti e ritriti. Non abbiamo forse fatto la stessa cosa nel '94?».
Dagli alleati arrivano solo dichiarazioni sdrammatizzanti, come quelle del ministro Antonio Marzano, che ironizza: se Bossi ha giurato da «padano», lui ha giurato «da romano». «Non facciamo di questo episodio di Pontida una cosa più grande di quello che è», manda a dire Rocco Buttiglione. «E' l'ennesima strumentalizzazione della sinistra», gli fa eco Gianni Alemanno. La Lega non vuole, secondo Roberto Calderoli, la spaccatura del paese, ma semmai offre, con la devoluzione, la strada per difenderne l'unità. Lasciando Palazzo Madama, però, Bossi rilancia: «In tema di federalismo nel discorso di Berlusconi non ci sono novità», dichiara. «Toccherà a me adesso dar subito uno spintone in modo che non ci siano dubbi sulla volontà di cambiamento di questo governo». Il premier ha detto che comunque il referendum si farà? E il Senatur: «Io questo non l'ho sentito».

La Repubblica 19/6/2001