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POLITICA 19-06-2001

E PER IL GOVERNO IN GRIGIO APPLAUSI A TEMPO E STRAPUNTINI

Berlusconi cita solo se stesso: il suo programma, il suo contratto, il precedente di sette anni fa

CONCITA DE GREGORIO

ROMA - E' un governo grigioblu monocolore e monocorde, quello che si vede laggiù dal loggione di palazzo Madama. Si presenta al Senato con un minuto di cordoglio per un lutto, Taviani, sta severo silenzioso composto, le signore hanno tailleur in sfumature di nulla: beige quasi grigio Prestigiacomo, grigio quasi beige Moratti, non ancora marrone Boniver. Berlusconi, in un'ora di discorso, non cita nessuno se non se stesso: non un Churchill, non un Bush che sarebbe anche difficile citare. Solo il suo programma, il suo contratto, il suo insediamento di sette anni fa. Autoreferenziale, tetragono, blindato come l'aula di centrodestra che applaude a un comando muto, come se fosse scritto nel copione tra parentesi, (applausi), battimano a tutti i passaggi per il centrosinistra peggiori: "l'ambientalismo non può fermare le opere pubbliche", bravo, "la difesa aerea va incrementata , più investimenti in tecnologie", bravissimo, "il conflitto di interessi era noto ai 18 milioni di italiani che mi hanno votato", ovazione.
Il presidente del Consiglio in piedi tra Ruggiero e Fini parla guardando un punto fisso davanti a sé, punto che corrisponde in linea d'aria a Marcello Dell'Utri, è certo un caso ma oggi è lui il suo dirimpettaio sul palco: l'amico, il socio degli inizi, il fondatore di Publitalia e del partito, il compagno di tante traversie oggi finalmente qui, nobilitato alla Camera Alta. Dell'Utri prende appunti con la biro, scrive anche Gianni Letta seduto proprio sotto Berlusconi, phonatura di capelli nuova e ruolo vecchio, il solito, un po' accanto un po' sotto.
Il discorso procede stanco in un'aria immobile. Strapuntini ai lati dei banchi del governo perché stasera son venuti tutti, Pisanu e Buttiglione hanno preso posto tra i banchi, Bossi su una seggiolina di lato, Castelli dall'altro, anche quando si parla di giustizia non fa un cenno, stringe una cartellina blu. Proprio ad esser volenterosi si rintraccia un segno di allegria nella cravatta giallorossa di Gasparri romanista, uomo mai avaro di sé che oggi per un'ora, tuttavia, si trattiene. Bossi sbircia negli appunti di Frattini. Siamo al passaggio su "l'arte e la cultura del fare", interessante che sia diventata un'arte, Andreotti gioca con una busta bianca, la fa battere sul banco, Agnelli si massaggia il polso destro, lo controlla a lungo e da vicino. Il gigantesco Contestabile sta a capo basso braccia conserte occhiali scuri, siamo al passaggio sul "buco nei conti" del governo di centrosinistra, Scalfaro immobile. Solo Sgarbi, in quest'aula di maggioranza assoluta dove persino i leghisti non si riconoscono più, solo Sgarbi per fortuna si muove. Con la stessa sciolta naturalezza di chi si senta qui al Senato come nel suo privato boudoir il sottosegretario Sgarbi sottolinea i passaggi del cantilenante discorso leggendo un libro, ora senza occhiali e più da vicino per vedere l'immagine, poi gli occhi al soffitto e mano sulla fronte, scruta gli affreschi, poi risponde al telefonino sotto lo sguardo dell'attonito Sirchia, ma si può fare così?, certo che si può, che sarà mai, si pulisce gli occhiali, si aggiusta il ciuffo, si rimette a leggere.
Tra il pubblico, nel loggione, Miti Simonetto curatrice dell'immagine del leader lo guarda tesa e biancovestita. Martusciello non più candidato sindaco fa figure coi pollici e gli indici uniti. Siamo al passaggio su Falcone e Borsellino, replay di quello di sette anni fa, applauso in piedi del centrodestra, rapida consultazione del centrosinistra e poi la decisione: in piedi senza applauso. Ma nemmeno tutti, in piedi, perché dirà poi il diessino Falomi "anche queste è diventata una commedia". Si apprende dal discorso che un punto del programma è anche quello di "diffondere l'italiano nel mondo", annuisce solo Tremaglia, gli altri pensavano che si dovesse diffondere l'inglese in Italia. Qualche applauso che nasce e non cresce interrompe il leader, che abbassa i fogli: "Scusate, non siamo ancora coordinati". Non si capisce con chi si scusi, forse col pubblico da casa per le sbavature nello stacco, non c'è nemmeno la pubblicità. I senatori di Rifondazione tengono cartelli con scritto in rosso: a mare il G8. Cartelli piccoli, protesta muta. Poi finalmente il rassegnato malumore della minoranza compressa a sinistra esplode. Succede quando Berlusconi cita Pisanu, ministro per il controllo del lavoro altrui: coro di sfottò e brusio, qualche risata, un paio di commentacci a voce bassa. Diventa rabbia, sul conflitto d'interessi: gli italiani che mi hanno votato hanno già risolto quel conflitto, dice il capo del governo, rumori a sinistra, "e comunque farò una legge". Si sente un: bravo, sì, figurarsi. Cossiga già annuncia che non voterà la fiducia, Andreotti gioca ancora con la busta: sarà il primo a parlare, stamani. "Sento che l'Italia che ho in mente è quella che gli italiani vogliono", chiude ispirato, con le pause giuste, Berlusconi. "Un paese dove tutti possano tenere aperte le porte alla speranza". Voce di donna, da sinistra: ha detto alla Finanza? No, niente Finanza. Ha detto speranza.

La Repubblica 19/6/2001