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CRONACA 26-04-2001

«BASTA TRAME DI POTERE A TRAPANI»

Appalti truccati, allarme del vescovo: spezziamo le catene del servilismo e della clientela
DAL NOSTRO INVIATO
TRAPANI- Nella sua lettera-denuncia ai fedeli trapanesi contro le «trame di potere che narcotizzano le coscienze», il vescovo Francesco Miccichè cita il profeta Isaia: «Per amor di Sion non tacerò...». Il sindaco di centro destra, Antonino Laudicina, due ex assessori, un consigliere comunale, due dirigenti del municipio e il presidente di una cooperativa sono in carcere da 48 ore, accusati di corruzione e di falso dopo essere inciampati su una delibera da 600 milioni (assitenza estiva negli asili comunali). Ma l’inchiesta della Procura è solo all’inizio e già si intravedono nuovi filoni su presunte irregolarità nella manutenzione del cimitero e nella gestione di appalti miliardari perché, sostengono i magistrati, «risultano indebite interferenze nella gestione amministrativa del Comune» da parte di un potente comitato d’affari cittadino. Così, il massimo rappresentante della Diocesi ha preso carta penna «per dare voce a chi non ha voce», puntando il dito contro la «cultura della mafiosità contigua a quella della consorteria massonica».
E’ un duro atto di accusa, quello mosso dall’alto prelato, che vuole spazzare via «questo colpevole silenzio». E, ora che sono «imminenti le consultazioni elettorali», Miccichè chiede a sé e ai «carissimi fratelli e figli di questa Santa Chiesa trapanese»: «Dove stiamo andando?».
Indifferenza, servilismo, clientela. La risposta, il vescovo, se la dà da solo: «Siamo chiamati a reagire, a trovare la forza e il coraggio di dire basta a questa illogica, ingarbugliata e odiosa trama di potere politico-economica-sociale; non possiamo non ribellarci a questa penosa agonia in cui stentatamente Trapani vive». E ancora, con un passo della lettera che circoscrive un contesto politico mafioso che, tra l’altro, rende il Trapanese il territorio preferito dai latitanti di Cosa nostra: «Le pesanti catene dell’indifferenza, del servilismo, della clientela, favoriti da un sistema di potere lobbistico che in maniera insidiosa narcotizza le coscienze, incute paura, fa terra bruciata intorno a chi osa ribellarsi...». Spezzare le «pesanti catene dell’indifferenza», chiede dunque il vescovo: «Quelle che contribuiscono a fare di questa città, una città avvilita e calpestata nella sua dignità».
Per i toni usati, e per gli argomenti affrontati, è senza precedenti questa lettera-manifesto inviata ai fedeli. Micciché mostra di non aver paura di inimicarsi i poteri forti che tengono sotto scacco un’intera provincia: «La culura della mafiosità, contigua a quella della consorteria massonica, è cultura di morte e non di vita, di privilegi e non di diritti e doveri, di illegalità e di ingiustizie e non di bene comune...». L’appello del vescovo si conclude con alcune esortazioni ai fedeli: «E’ tempo di uscire dalle sacrestie e dalle chiese, di assumere responsabilità; di non delegare ma di partecipare; di rischiare e di compromettersi; di testimoniare i valori; di progettare percorsi di liberazione; di umanizzare la politica, di pensare libero...».

D. Mart


Corriere della Sera 26/4/2001