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CRONACA 02-05-2001

A CHI FANNO PAURA I SEGRETI DI PROVENZANO?

Dalle dichiarazioni sibilline di Fini alla terza generazione della mafia imprenditrice. I paradisi fiscali e i timori della destra


Che cosa c’è dietro le sibilline frasi con cui il veggente Fini ha preannunciato arresti eccellenti di mafia (addirittura Provenzano) ad uso elettorale ed ha espresso la preoccupazione che «rivelazioni» pilotate di mafiosi rimettano in ballo il nome di Berlusconi? Non ci sarà mica da stupirsi, ha detto Fini con ironia noir, se qualcuno ricorderà improvvisamente che il bacio a Totò Riina, l’ha dato Berlusconi, mica Andreotti. Roba da ridere? Mica tanto, l’argomento è serio. E non solo perché l’Economist gli ha dedicato la copertina. L’arresto di Bernardo Provenzano, capomafia carico di medaglie, se dovesse accadere prima del 13 maggio, sarebbe una buona notizia per tutti gli uomini onesti. Che di fronte a un evento del genere si possano generare delle preoccupazioni elettorali è un’anomalia del sistema democratico. In questo momento la mafia ha davanti a sé un problema assai più grosso di quello di mantenersi come capo Provenzano, che forse è veramente in difficoltà. A gennaio, è stato arrestato uno dei suoi luogotenti più importanti Benedetto Spera, insieme col suo vivandiere Nicola La Barbera; a febbraio, è caduto in trappola il suo faccendiere Vincenzo Virga, formidabile procacciatore di appalti. Ci sono state delle strane polemiche dopo questi arresti. Un generale dei carabinieri è arrivato a dire che la cattura di Spera aveva bruciato una pista per catturare Provenzano. E’ stato zittito da Pietro Grasso, procuratore della repubblica di Palermo, al quale, invece, premeva avere nelle mani un boss che per nove anni aveva diviso la latitanza con Provenzano.
Tesori da riconvertire Non si sa se Spera e Virga abbiano raccontato qualcosa ai procuratori di Palermo. Se ciò fosse avvenuto, oggi potrebbero essere noti ai magistrati alcuni misteri della seconda generazione della mafia imprenditrice, che ha avuto negli ultimi venti anni come mente organizzativa Bernardo Provenzano, e che non sempre ha avuto buoni rapporti con l’ala militare legata a Totò Riina. Provenzano in difficoltà potrebbe avere, come successe a Riina, quando restò isolato, una ristretta conventicola di vivandieri, autisti e guardaspalle, che l’aiutano a nascondersi. Quando un boss si accorge che comincia a mancargli il terreno, può anche pensare che il miglior riparo sia una cella di Stato, un’idea che forse (è un’ipotesi) balenò anche a Riina. Se la cattura di Spera e Virga sta dando o darà presto sviluppi positivi per la lotta contro la mafia imprenditrice, noi comuni mortali, e non sibille, lo ignoriamo. Ma abbiamo il diritto di pensare che non ci sia nulla di più strampalato (e anche di più torbido) della pretesa che siano rinviati a dopo le elezioni eventuali arresti di altri capi di Cosa nostra? Altro che repubblica delle banane! La terza generazione della mafia imprenditrice, quella che ha investito un fiume di soldi sotto facciate legali, non ha certamente in cima ai suoi pensieri la sorte di Provenzano e di qualche altro suo socio in affari. La principale preoccupazione è quella di «ripulire» in Euro gli enormi depositi di denaro, in lire e in marchi, provenienti dal riciclaggio dei narcodollari e dagli introiti degli appalti, della prostituzione, del racket, del contrabbando e dell’ecomafie. Secondo le stime della federazione bancaria europea il denaro contante detenuto dalla criminalità mafiosa è pari allo 0,5 per cento del Pil a livello mondiale. Per i Paesi dell’Unione europea questa quota è pari all’ammontare di 28 miliardi di euro. Il capo della polizia italiana avvertì fin dal 1998 che la ripulitura in euro del denaro sporco posseduto in banconote nazionali europee è una scelta a cui la criminalità mafiosa non può rinunciare, perché, alla scadenza del 30 giugno 2002, quelle valute dovranno essere ritirate e perderebbero il loro valore.
Il business del boss Il vero scontro con la mafia in tutta l’Europa è, oggi, quello di impedirle di convertire le valute nazionali, aprendo conti bancari in euro. Per un boss imprenditore, come Provenzano, proprietario sotto prestanome, di catene di pizzerie e di alberghi in Germania, mettere al sicuro i soldi della mafia è stato sempre il maggiore assillo. Quando cadde il muro di Berlino, fu subito trasferito là uno dei suoi emissari e per telefono gli fu dato questo ordine (risulta da un’intercettazione): «Compra tutto... tutto: pizzerie, ristoranti, discoteche». Se Provenzano e qualche altro boss cadranno nelle mani della giustizia quasi certamente terranno la bocca chiusa sui piani di riconversione in euro dei soldi delle cosche, ma potrebbero rivelare qualche segreto sulle rotte (oggi bruciate) del riciclaggio dei narcodollari nelle banche svizzere e austriache e nelle società off-shore dei paradisi fiscali del mar dei Caraibi. Forse diranno anche qualcosa di più sulle stragi di mafia? Ma perché la destra si agita tanto?
Annibale Paloscia


Liberazione 1/5/2001