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CULTURA 03-05-2001

PROMESSA AL QUADRATO

IL «CONTRATTO» DI BERLUSCONI


Michele Ainis

LE promesse elettorali non vanno prese sottogamba. Senza, non avremmo elementi per decidere fra un candidato e l'altro. E non avremmo neppure un'anticipazione dei futuri programmi di governo, quelli che il vincitore esporrà dinanzi al Parlamento per ottenerne la fiducia. Semmai il guaio è che in tempo d'elezioni queste promesse generalmente si consegnano alle agenzie di stampa o alle folle stipate nei comizi, sono insomma parole pronunciate in libertà da chi ci chiede il voto, e suonano dunque un po' generiche, talvolta velleitarie. Ora però ne è stato prospettato un nuovo tipo: la promessa scritta, anzi stipulata per contratto. E inoltre la promessa drastica, definitiva. Quella che Berlusconi s'accinge a sottoscrivere davanti agli italiani: «Se alla fine della legislatura il mio governo non avrà ottenuto i risultati promessi, m'impegno a non ricandidarmi alle prossime elezioni».
Per la verità, non è la prima volta. Già Bettino Craxi, nel 1983, chiese un contratto d'ingaggio al Parlamento, per guidare il paese nei tre anni successivi. «Sono un professionista della politica» disse «e i professionisti lavorano a contratto». Anche allora c'era alle porte una tornata elettorale, e infatti subito dopo Craxi divenne presidente del Consiglio, e ci rimase fino al 1987. Ma c'è una differenza fra il contratto di ieri e quello attuale. Non tanto per la forma, dato che Craxi non firmò nessun contratto, mentre Berlusconi ha già annunciato di volerlo fare, non si sa ancora se alla presenza d'un notaio. Quanto piuttosto per l'oggetto del contratto, per il suo contenuto. Che a ben vedere consiste nell'impegno a rispettare il programma di governo. Dunque nella promessa di mantenere la promessa. Come dire? Una promessa al quadrato.
Un colpo d'ingegno, non foss'altro perché questa promessa ha il vantaggio di sottrarsi al giudizio degli scettici, anzi alla possibilità stessa del giudizio, come in quel vecchio rompicapo logico: «Ciò che sto dicendo è falso». Se infatti è vero ciò che affermo, allora è falso che io stia dicendo il falso. Se non è vero, è vero tuttavia che in questo momento io stia dicendo il falso. Ma a occhio e croce è più plausibile il secondo corno del dilemma, ovvero che non ci sia affatto da fidarsi della promessa di lasciare la politica, se le promesse di buon governo non verranno mantenute. A quel punto infatti gli italiani avrebbero la prova che Berlusconi non è uomo che tenga fede ai propri impegni; e allora perché mai dovrebbe rispettare questo?
micheleainis@tin.it


La Stampa 3/5/2001